Musiche di Scena
"L'amore è un Delirio"
(in un delirio d’amore Foà e Block incontrano Alda Merini)
All’alba delle tre serate conclusive del Musicultura Festival, Macerata ha scelto di dedicare una intera settimana a spazi di riflessione dove attori, giornalisti, musicisti, uomini di cultura incontrano la cittadinanza.
La Controra, così abilmente chiamato questo intervallo, esattamente come il dopopranzo, sembra scandire un tempo che si dilata e si espande. In questa fase di otium avanza la possibilità della riflessione.
Ieri pomeriggio nel cortile del Palazzo Municipale gremito di gente, in una estensione generazionale ampia quanto profonda, è tornata tra noi, viva più che mai, la poetessa dei navigli, il Dante rock della poesia italiana di questo secolo: Alda Merini.
E non è stato un ricordarla ma un riscoprirla, un lasciarla parlare ancora una volta, e ancora una volta rendersi più consapevoli che non siamo stati in grado di ascoltarla quando era tempo.
A darle voce il regista pugliese Cosimo Damiano Damato, Orsetta e Arnoldo Foà, accompagnati dell’afflato armonico del pianista Lorenzo Campese e dal vincitore di Musicultura 2009, Giovanni Block alle prese con le più belle ballate del “professore” Roberto Vecchioni.
Dati i nomi altisonanti risulta davvero incomprensibile con che criterio sia stato scelto un posto così piccolo decisamente non in grado di contenere la numerosissima folla che ovviamente sarebbe ed è di fatto accorsa.
Quello a cui si è assistito ieri pomeriggio non è uno spettacolo improvvisato ma una creatura sviluppatasi dal bisogno di chi l’ha conosciuta di parlare ancora di lei, cresciuta a dismisura e messa dunque in scena sotto il nome di “L’amore è un delirio”.
Nel quadrato di cielo recintato dalle mura del cortile comunale, Alda Merini viene raccontata con passione e tangibile gentilezza. Non un mito, non una creatura celestiale, ma una donna di sofferenza, la cui poesia può essere capita solo passando attraverso il suo dolore. Cosimo Damiano Damato l’ha conosciuta e ci parla di lei iniziando proprio dal giorno della sua assenza. I funerali di Stato per un Paese che doveva riscattarsi dalla superficialità con la quale l’aveva sempre trattata. Una chiesa gremita e odorosa, dove il sacrale dell’incenso, si mescola al puzzo della strada evocato dai barboni accorsi. Il sacro e l’umile, qualcosa che sempre ha accompagnato la sua mano nella trascrittura dei versi che le scorrevano nelle vene.
E quando si avvicinava alla sua fine, quel giorno prima dell’uno di novembre, la Merini non poteva che partorire una perla come “Sindone”, poesia recitata magistralmente da un Arnoldo Foà acclamato da una emozionante standing ovation.
Ed emoziona, perchè l’atmosfera è calda, e pervasa da parole che come lame aprono ferite già aperte nel cuore di tutti. Perchè l’abilità di Alda Merini e della poesia molte volte è quella di rendere verbo il sentimento che l’uomo comune prova senza sapere di provarlo, senza conoscerne il nome. Ma quando si ascoltano i suoi versi, allora come una fiamma interiore, un calore rinnovato arde quella ferita, la richiama, la nomina, la fotografa e lo fa così bene attraverso semplici ritagli di parole.
Cosimo Damiano Damato ci regala fotografie di istanti condivisi con lei, descrive con minuziosità particolari che possono apparire banali, come il modo di tenere tra le dita la sigaretta che non poteva più fumare a causa delle sue condizioni di salute, ma che contornano un personaggio spesso sfumato e nebbioso, o semplicemente costretto in clichè vuoti quanto ripetitivi.
E se per un verso la poesia crea quell’amorevole unione ed emozione tra la folla, dall’altro la presenza in scena di Arnoldo Foà fa il resto. Già, perchè a 95 anni, avere ancora l’ardore, la passione incontenibile di calcare un palcoscenico, seppur da seduto, e regalare e regalarsi, come impegno e semplice dimostrazione di uno stato d’essere, di una forma di esistere, crea una inequivocabile emozione. Sembra quasi che non vi sia differenza tra il lavoro d’attore e l’uomo Arnoldo Foà.
Gioca col pubblico gestendo come un direttore d’orchestra lo spazio tra applausi e silenzio; in un gesto di mano richiama l’elogio e ne dosa la forza, in un cenno riporta la calma che consente la parola.
Un inciso a parte va dedicato a Giovanni Block. In veste di interprete dei pezzi di Vecchioni, ha saputo alla perfezione dipingere sentimenti e tracciare percorsi di confine tra la musica e la poesia, un confine rivelatosi spesso inesistente.
Questa sera sarà l’arena Sferisterio ad accogliere il Maestro Arnoldo Foà insieme ad Orsetta per un assaggio dello spettacolo di giovedì pomeriggio. (Leggi L’articolo)